L’enigma dell’opacità
Alessia Vaudano (partecipante alle attività della SLP)

La mia elaborazione sul tema di lavoro Il reale del sesso prende avvio dai due termini enigma e opacità che ho incontrato nella lettura de L’uno-tutto-solo di Miller e Di Ciaccia [1].
Il titolo il reale del sesso ha inizialmente prodotto in me un effetto enigmatico, ma grazie alla lettura e alla riflessione che ne è scaturita mi sono accorta che il piano in gioco non è tanto solo quello dell’enigma, bensì quello dell’opacità. Partendo dalla mia esperienza, posso dire che l’enigma è proprio ciò che ha consentito il prodursi di una ricerca, passando continuamente da un libro all’altro, quasi in senso metonimico, fino a quando, ancora una volta, mi sono scontrata con un’impossibilità di definire questo reale del sesso: ecco dunque l’opacità.
Opacità è un termine che Lacan usa nel Seminario XXIII [2] per indicare proprio la peculiarità del sessuale, che è quella di non fondare alcun genere di rapporto. Miller mette in rilievo che opacità ed enigma sono differenti perché, mentre enigma rimanda al significante, opacità può essere intesa come una macchia all’interno del campo visivo che è lì a indicare un non c’è [3].
Non c’è rapporto sessuale è quindi come una macchia che offusca una parte della nostra percezione, nel senso che non ci sono collegamenti possibili tra la conoscenza e il sessuale, così come non c’è congiunzione davvero possibile tra il godimento dell’Uno e quello dell’Altro. Nella psicoanalisi di Lacan, il rapporto sessuale va oltre l’atto sessuale in quanto esso è una parte del reale su cui il linguaggio non può articolare molto.
Tuttavia potremmo forse dire che proprio ciò che non c’è è anche però ciò che fonda l’esistenza? Mi pongo questa domanda perché ritengo sia molto importante per cogliere la finalità stessa di un’analisi: questo punto è infatti proprio ciò verso cui mira un’analisi. In un tempo iniziale, assistiamo a un dispiegamento della catena significante che consente di decifrare qualcosa dell’inconscio, ma in un tempo successivo avviene un rovesciamento. L’inconscio emerge nel suo statuto di impossibile, in una forma di godimento, di ciò che tocca più propriamente il corpo. In quei momenti in cui ciò si produce, si può accogliere quindi quel punto dove i conti non tornano, punto singolare a ciascuno dove non c’è parola né definizione in grado di dirne propriamente qualcosa.
Ancora, se da questo versante c’è un’impossibile a dirsi che riguarda ciascuno di noi, dall’altro lato cogliamo anche che è pur sempre con il linguaggio che possiamo giungere a supplire a questo buco. Ma in quale modalità? Me lo chiedo perché assistiamo alla nascita continua di nominazioni volte a identificare la posizione sessuale di ciascun soggetto, oltre alle classiche uomo/donna; un fatto, questo, che mi sembra proprio, da un lato, un tentativo di rispondere a quel reale che non può dirsi, ma dall’altro lato, un segno dell’inadeguatezza dell’identificazione.
Definirsi in un sesso, in fin dei conti, riguarda il versante dell’ideale e dell’essere, e quindi anche quello del voler trovare la parola giusta che possa dire il godimento. Ma come insegna Miller, il sessuale è singolare a ciascuno e l’essere non è l’esistere [4]. Ritengo dunque che questo possa essere inteso come una necessità di trovare non soltanto una definizione identitaria, quanto piuttosto un annodamento singolare che possa includere anche quel punto di opacità di cui niente si può dire, né si lascia identificare, ma che è fondamento dell’esistenza oltre il muro del linguaggio.

[1] J. A. Miller e A. Di Ciaccia, L’uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano, Astrolabio, Roma 2018.
[2] J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il sinthomo [1975-1976], Astrolabio, Roma 2006.
[3] Cfr. J. A. Miller e A. Di Ciaccia, L’uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano, cit., p. 215.
[4] Cfr. J. A. Miller e A. Di Ciaccia, L’uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano, cit., capp. Essere ed esistere.