Il reale del sesso? No, grazie.
Gian Francesco Arzente – AE Scuola Una
All’improvviso si è fatto buio.
Stamane l’aria cristallina e l’azzurro del cielo mi avevano fatto pensare a come sarebbe stato bello questa sera guardare il tramonto sopra il Monviso.
L’ho perso. La giornata è scivolata via come il vento che, d’autunno, spoglia le ultime foglie degli alberi. Un accenno di malinconia che mi porta per un istante a meditare sulle prossime vacanze estive, ma con pudore mi ritraggo da questo pensiero.
Dalla stanza attigua mi raggiunge la voce di chi al telegiornale annuncia che l’indice del contagio da Corona virus è calato da 1,8 a 1,4, ma molte più regioni d’Italia hanno superato la soglia critica dei ricoveri in ospedale.
Da circa tre settimane, poi, sono tornato a fare le riunioni sia cliniche che organizzative delle varie associazioni a cui partecipo su piattaforma telematica. Mi sembra di aver più tempo a mia disposizione per studiare, per stare in famiglia – mi dico – ma è meno denso: ciò che vi accade nella sua corrente ha meno forza, i colori sbiadiscono in fretta.
Ed eccomi qua di fronte al tema del prossimo Convegno SLP che si svolgerà a Roma nel maggio 2021. Il reale del sesso. È in buona compagnia: a luglio 2011 a Bruxelles si tratterà il tema Avere un figlio? Poi a Parigi nel 2022 il Congresso mondiale dell’AMP su La donna non esiste.
Ne parlavo al telefono alcuni giorni fa con un collega della SLP a Milano, quando mi sono sorpreso dire: Il reale del sesso? No, grazie!
Perché? Eppure l’esperienza del Reale è il cuore pulsante della Scuola.
Ora, rileggendo il tema sul foglio bianco mi accorgo che a spaventarmi è l’articolo.
– L’articolo?
– Il: articolo singolare determinativo. Non lo si usa in qualsiasi caso. In italiano, si fa uso dell’articolo determinativo per indicare qualcosa di preciso. Come dire che il reale del sesso non rimanda a qualcosa di indeterminato.
– E già! Avrebbero usato l’articolo indeterminativo. Non ci stanno invitando a lavorare intorno a Un reale del sesso.
– E no! Con l’articolo il non se ne può fare una serie di questo reale. Non lo si può ordinare.
– Cameriere! Per favore, mi porti un reale?
– Vedi che non appena qualcosa si fa impegnativo subito divaghi. Non si può fare una collezione del reale.
– Se non se ne può fare una serie e se non si può avere una collezione di reale, di chi è?
– Del sesso!
– Del sesso? Che casino è sempre stato per me. Ma l’articolo il non doveva indicare qualcosa di già noto. Noto nel discorso che si sta facendo.
– Infatti, in questo caso noto all’interno del discorso analitico.
– “a”! Il discorso analitico. Ridi perché ho detto qualcosa di stupido?
– No. Non trovo immagini, non trovo parole per rappresentare, per dire qualcosa sul reale del sesso.
– Ti ricordi quando frequentavamo le scuola medie e, trovandoci intorno ad una lattina di Coca, ti domandavo: ma se Agata mi bacia, cosa faccio?
Tarzan sa! Mi rispondevi usando la terza persona singolare. Poi al Liceo per nostra fortuna abbiamo iniziato a leggere qualche romanzo.
– E io ti dicevo, ma cosa ne dice William Shakespeare?
– O, I am fortune’s fool.
– O, io sono lo zimbello del destino.
– No. Non destino, mi fa sentire vittima il destino. Zimbello del caso, piuttosto, perché sta a noi leggere il numero che compare sulla faccia dei dadi.
– Ma quante volte hai letto Romeo e Giulietta?1
– Effettivamente, quante tragedie si consumano? Ancora oggi né è piena la cronaca, Quante tragedie quando un sapere non saputo fa ostalo al rapporto sessuale. Quante tragedie accadono quando si vuol far prevalere il proprio senso, perché non si ha voglia di voler venire a sapere che il senso è solo una direzione; ve ne sono molte altre.
– Meglio la commedia?
– Si! Sai, a volte ho provato a fare l’esercizio di leggere i Casi clinici di Freud come se appartenessero a differenti dei generi letterari.
Ebbene, ti ricordi del Caso del piccolo Hans?2
– Sì certo. Quel bambino aveva uno strano sintomo, la fobia per i cavalli; ma ricordo soprattutto il fa-pipì. Forse aveva a che fare col reale del sesso?
– E già. E mi sembra anche un buon esempio di commedia.
Il caso vuole che la fobia comincia proprio quando la mamma di Hans ha appena avuto una bambina, cioè quando si è unita una sorellina al contesto familiare. In tale contesto, poi, i genitori si stanno per separare perché le cose non vanno bene tra di loro. Come se non bastasse, poi, il piccolo Hans in questo periodo incomincia ad avere delle piccole erezioni e deve così occuparsi del suo fa-pipì. Inizia ad interessarsi del suo organo. Ed è in questo contesto molto animato che Hans, come fanno molti bambini di questa età, cinque anni, inizia a porre molte domande. Le questioni con cui assale i genitori girano attorno all’enigma della nascita: da dove vengono i bambini, dove eravamo prima di venire al mondo, di chi è la sorellina? Domande insomma da cui emerge la problematica della procreazione, l’esistenza di un nuovo essere vivente e della relazione tra i sessi incarnati per lui da suo padre e da sua madre. Hans si interroga su questo e contemporaneamente sul senso di quell’organo di cui lui è provvisto e di cui la sorellina, che attira tutte le attenzioni, non è provvista.
– Questo è il reale del sesso?
– Aspetta. Non farmi perdere il filo. Emerge però in modo preciso, a mio modo d’intendere, leggendo il caso del piccolo Hans, una problematica centrale per lo sviluppo di ogni bambino: qual è il rapporto tra il sesso e la vita.
– Una tragedia.
– Se non fosse che la fobia di Hans scompare, grazie a ciò che egli racconta al padre che, a sua volta, lo va a raccontare a Freud.
“Tu andrai a vivere con la nonna e io sposerò la mamma” dice a suo padre trovando una soluzione alla questione di quale ruolo, quale posto tenere in relazione all’altro sesso. La soluzione è quella mitica dell’Edipo: rinvia suo padre da sua madre e io – dice Hans– starò con la mia. Quello che conta, al di là di questa soluzione romanzata, è vedere che la costruzione di quest’articolazione è correlata alla scomparsa della fobia dei cavalli. La fobia scompare in un contesto in cui Hans ha l’opportunità di articolare esplicitamente le sue questioni sulla vita ed il sesso. La paura scompare quando inventa una nuova ripartizione dei posti in quella famiglia da cui si era sentito estromesso e riceve, lì dove ha provato sulla sua pelle che Non c’è rapporto sessuale, la promessa che c’è del legame sociale. La promessa di un legame sociale vale a dire il solo rapporto che gli esseri umani hanno tra loro è un rapporto di parola, quindi di malinteso.
– La fobia allora presentifica per Hans la questione latente sul sesso e la vita?
– Si! Possiamo dire che i bambini, come gli adulti, attraverso ad esempio un sintomo, la fobia per Hans, affrontano le questioni fondamentali per ogni parlessere: la questione della sua esistenza, del suo sesso, dalla cui decifrazione può emergere, come nel caso del piccolo Hans, l’incertezza provata riguardo a quale posto occupava nell’Altro quando questo Altro gli è risultato bucato.
– Cioè?
– Scusami. Mi stavo dimenticando del corpo. Hans con il suo fa-pipì fa un’esperienza traumatica, che è un’esperienza di corpo e di confronto con l’indicibile in assenza dell’Altro del linguaggio, un’esperienza in cui è in gioco del godimento. Il soggetto, Hans in questo caso, dovrà sintomatizzare questa esperienza, ovvero costruire un sintomo intorno a questo pezzo indicibile, mettendolo in rapporto per costruirci qualcosa.
– Uhm?
– Come dice Lacan, nella conferenza su Il sintomo tenuta a Ginevra il 4 ottobre del 19753, Hans con la prima erezione si trova confrontato con un’esperienza di godimento da cui vuole fuggire perché non capisce quello che gli sta accadendo. È l’incontro con qualcosa che sente nel corpo senza poterlo simbolizzare mettendolo in parole. Hans rifiuta il godimento che si produce nel suo corpo e come conseguenza comincia a spostare questo godimento estraneo e indicibile su : “Questo cavallo, che va e viene, che ha un certo modo di scivolare sulla banchina mentre tira un carro, è tutto quello che c’è di più esemplare per lui di ciò con cui ha a che fare”.4 Qualcosa del corpo dunque viene rifiutato e comincia a produrre una fobia per sintomatizzare questo reale vissuto nel corpo.
– Ecco che sia Freud che il padre lo aiutano a mettere in parole la storia dei cavalli e della sorellina.
– Si! “È sempre con l’aiuto delle parole che l’uomo pensa. Ed è nell’incontro delle parole con il proprio corpo che qualcosa prende forma”.5
– E poi. Mi sembra d’intuire che il reale del sesso ha molto a che fare col sintomo. Sinthomo?
– E poi questo è solo un assaggio. Ci vediamo a Roma!
– Ah! Aroma.
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[1] William Shakespeare, Romeo e Giulietta, in William Shakespeare I capolavori, Vol. I, Einaudi, Torino, 1994, p. 62.
[2] Sigmund Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans) (1908), in Opere, Vol. V, Boringhieri, Torino, 1972.
[3] Jacques Lacan, Il sintomo, in La Psicoanalisi, n. 2, Astrolabio, Roma, 1987.
[4] Ivi, p. 21.
[5] Ivi, p. 19.