Le donne raccontano. Marco Focchi – AME SLP, AMP 


Sappiamo che Freud alla fine della sua vita era rimasto almeno con un enigma irrisolto, quello della sessualità femminile: non so cosa vuole una donna, diceva. Svelata la componente sessuale soggiacente all’isteria, messa in luce la sessualità infantile, Freud inciampava nel desiderio di Dora, che voleva la signora K, non suo marito come ci si sarebbe dovuto aspettare. D’altra parte non possiamo dire che l’epoca fosse favorevole a far parlare le donne del loro desiderio. Ne abbiamo testimonianza da uno scrittore amico di Freud, Stefan Zweig, che ci ha dato uno straordinario affresco d’epoca nel suo bel libro Il mondo di ieri. Se le donne di oggi a volte si sentono in obbligo, per non deludere il partner, di fingere l’orgasmo, sotto il regno della regina Vittoria, il cui alito morale ispirava l’Europa, le donne si ingegnavano piuttosto di nascondere l’orgasmo, se capitava loro di averlo, soprattutto se in un coito legale con il marito. A quel tempo, secondo quanto racconta Zweig, non solo si ignorava la sessualità infantile, ma anche la sessualità femminile era completamente misconosciuta. Una donna di per sé non solo non doveva manifestare espressioni di sessualità, ma si considerava che una donna avesse accesso al desiderio sessuale solo per due vie: quella legale del matrimonio, e quella illegale, per corruzione. Se il desiderio femminile non veniva risvegliato dal fuoco vivificatore di quello maschile, l’ipotesi di fondo era semplicemente che non esistesse. D’altra parte la cosa non si ferma al mondo di ieri, che per Zweig coincide con quello della Belle Epoque. Uno stimato psichiatra come Paul Julius Moebius fa uscire un libro – la cui data di pubblicazione , per ironia della sorte, coincide con quella in cui vide la luce L’interpretazione dei sogni – con il titolo: L’inferiorità mentale della donna. Sembra un titolo ironico vero?, fatto per creare un divertissement testuale alla Umberto Eco. Invece no, è un titolo serissimo, dove si leggono tra l’altro splendide perle come questa: “L’istinto rende la donna simile alle bestie, sempre dipendente da influenze estrinseche, sicura di sé e gaia. In essa s’agita la singolare forza dell’istinto, che la rende veramente mirabile e attraente. Molte caratteristiche femminili sono connesse a codesta somiglianza con le bestie: anzi tutto la mancanza di giudizi propri”. Vi sembrano giudizi arbitrari? No, affatto. Moebius è un positivista convinto e porta le prove, non come quando si cita arbitrariamente aggiungendo: “Studi dicono che…”. Lui va al concreto, cioè al cervello: “ Resta completamente dimostrato che nella donna porzioni del cervello sono meno sviluppate che nell’uomo, porzioni della massima importanza per la vita psichica, quali le circonvoluzioni del lobo frontale e temporale, e questa differenza esiste fin dalla nascita” E non pensate che si tratti solo di opinioni: qui c’è la scienza al lavoro: Th. L. W. Von Bischoff, professore di anatomia a Monaco, ha pesato 559 cervelli maschili e 347 cervelli femminili (virtù sublimi della quantificazione, ma chissà perché hanno trovato più cervelli maschili che femminili) con il risultato di una media di 1362 grammi per il cervello maschile e di 1219 per quello femminile. Che altra deduzione se ne può ricavare se non quella che dà il titolo al libro di Moebius? Avanzando nel secolo XX le cose non migliorano subito, se consideriamo il libro di Betty Friedan La mistica della femminilità (citato anche da Lacan). La mistica della femminilità è quella che, negli anni Cinquanta, in America, presenta la donna come soddisfatta di fare bambini, crescerli, pulire la casa e aspettare il marito dopo avergli preparato la cena. Parte del successo della psicanalisi nell’America degli anni Cinquanta è alimentato da queste donne che alla fine dovevano pur parlare con qualcuno! Ma dopo gli anni Cinquanta vengono i Sessanta e i Settanta, gli anni della rivoluzione sessuale, e le donne non sono più messe a tacere nei loro orgasmi o chiuse in casa a badare alle faccende. Man mano il panorama si trasforma. Oggi abbiamo tutta una significativa letteratura di donne che non solo parlano della loro sessualità, ma che hanno traversato esperienze estreme e le raccontano senza inibizioni. Lacan per dipanare il desiderio femminile ascoltava le mistiche, ammirava l’orgasmo marmoreo della Santa Teresa di Bernini. Oggi le autrici ci parlano di orgasmi che non sono più imprigionati nella pietra, e che sono molto meno mistiche e molto più carnali. Emma Becker sin da bambina era incuriosita dall’idea della prostituzione. Dopo un’adolescenza ispirata dalla curiosità erotica nei confronti degli uomini, curiosità che soddisfa generosamente e che ci racconta nel suo primo libro Monsieur, a venticinque anni va a vivere a Berlino, dove la prostituzione è legale. Vuole scrivere un libro a metà tra il giornalismo e la letteratura, e non vuole fare la parte dell’antropologa, dell’osservatrice esterna. Trascorre quindi un paio d’anni a lavorare in un bordello di classe che dà il titolo al suo secondo libro: La maison. È una straordinaria ricognizione sul desiderio femminile, “un’osservazione al microscopio del mio sesso, di cosa significa essere donna e nient’altro, e di venire pagata per esserlo”. Se l’esplorazione di Emma Becker è disinvolta e gioiosa, quella di Nelly Arcan è tesa e drammatica. Per pagarsi gli studi universitari esercita come Escort, ma il suo libro porta il titolo più schietto di Putain, perché, dice, in realtà si tratta dello stesso mestiere. Nelly Arcan fa nel frattempo un’analisi con un analista con il quale non riesce molto a parlare. Quindi scrive, e i suoi testi hanno un vero valore letterario. È il suo analista a spingerla a pubblicarli. Chi invece esplora il “senza limiti” del femminile è Virginie Despentes, femminista radicale, “fidanzata” di quel Paul Preciado che abbiamo conosciuto durante le Journées dell’anno scorso a Parigi. Il suo primo libro, Baise-moi, è una sorta di Thelma e Louise estremizzato, che non risparmia nulla nell’erotismo, nella droga, nella morte. C’è poi Grisélidis Réal, portabandiera dei diritti della prostitute, con lo slogan “La prostituzione è un atto rivoluzionario”, ed è, afferma, un’arte, un umanesimo, una scienza. Il suo libro, Il nero è un colore, si riferisce al colore della pelle di quelli che sono stati i suoi amanti prediletti. Direi che è il momento per noi, accanto alla lettura delle mistiche, di accostarci ai libri di queste donne che non hanno lesinato nell’esplorare e nel raccontare senza ambagi l meandri del loro desiderio, e sicuramente abbiamo a disposizione un materiale più ricco e più esplicito di quanto ne avesse Freud. È vero che anche allora c’erano donne intelligenti, libere e disinvolte nella vita sessuale, come la sua amica e allieva Lou Salomé, ma in quel tempo era piuttosto l’eccezione che svettava sullo sfondo di un silenzio assordante.