Lui non può vedere lei e rimane seduto nel corridoio
Gian Francesco Arzente (membro SLP/AMP, AE della Scuola Una)
Sempre Freud, partendo dalla sua esperienza clinica, ci invita a cogliere che una donna nasce con un meno rispetto ad un uomo: qualcosa del reale del corpo istituisce, né meglio né peggio, che qualcuno ce l’ha e qualcuno non ce l’ha. Qualsiasi divisione del campo tra uomini e donne non può prescindere da questo dato di partenza, anche se non è ad esso che può fermarsi.
Il reale del sesso può prescindere da questo principio?
La divisione del campo degli uomini e delle donne ci fa cogliere che questo meno in una donna è una risorsa che può dirigerla in modo più diretto sulla via del proprio desiderio, che è messo in campo da principio come un vettore che va verso chi ha o colui che ha: il padre prima e l’uomo poi.
Su questo punto, sul punto del desiderio, nessuna promessa d’avere incontra una possibile realizzazione di una pienezza. Neanche quella prospettata da Freud che aveva ipotizzato, inizialmente, per la bambina un’uscita dall’Edipo sull’asse materno: la promessa futura di avere un bambino.
“Voi continuate la storia del bambino, la gridate – scrive Marguerite Duras – Dite che non sapete nulla della storia del bambino, la vostra storia. Dite che avete sentito raccontare questa storia. Lei sorride, dice che ha sentito e anche letto molte volte questa storia, dappertutto, in molti libri”.[2] (Marguerite Duras, Testi segreti, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 66).
Freud stesso si accorge che un bambino non è la risposta all’enigma della femminilità.
“Voi domandate come il sentimento d’amore potrebbe sopravvenire – prosegue Duras.
Lei vi risponde: Forse da una frattura improvvisa nella logica dell’universo.
Dice: Per esempio da un errore. E dice: Mai dalla volontà”.[3]
Lacan compie un passo in più. Il femminile trova la sua specificità sul punto della mancanza: una donna è presa da un godimento che non è quello maschile e non ne è ad esso complementare, è diverso, è qualcos’altro. Non è in gioco una logica di incompletezza ma di inconsistenza.
“Voi chiedete: Da che cosa ancora potrebbe nascere il sentimento d’amore? La supplicate di rispondere. E lei dice: Da tutto – prosegue Duras – da un volo d’uccello notturno, da un sonno, da un sognar di dormire, dall’avvicinarsi della morte, da una parola, da un delitto, da sé, da se stessi, spesso senza sapere come”.[4]
Nel rapporto sessuale il godimento femminile del corpo non è legato strettamente all’organo sessuale, come nel caso del godimento maschile, fallico. Si tratta piuttosto di un godimento che ha un carattere illimitato. Le donne stesse lo provano ma non sanno dirlo, né nominarlo.
Come sostiene Lacan nel primo capitolo del Seminario XX,[5] il linguaggio non è l’essere parlante ovvero quelli che chiamiamo gli uomini, sono ben altra cosa dal linguaggio. Ma non abbiamo altro che le parole per rendere ciò che racchiude un corpo, ciò che prova un corpo, ciò che si prova quando ad esempio due corpi si stringono.
“Stringersi”.[6]
Lacan qui fa riferimento al diritto dei giuristi e a come viene regolato l’usufrutto dei corpi ovvero di come se ne può godere ma a condizione di non sprecarli troppo, si potrebbe dire.
L’essenza del diritto è quello di ripartire, distribuire, retribuire il godimento, dunque. In questo caso però il godimento si riduce ad essere un’istanza negativa: è ciò che non serve a niente. Infatti: “Il diritto non è il dovere e – prosegue Lacan – Niente costringe qualcuno a godere, tranne il super-io. Il super-io è l’imperativo del godimento: Godi!”[7]
E’ questo il punto nodale interrogato dal discorso analitico.
“Lei dice: Guardate. Apre le gambe e là, nell’incavo delle gambe aperte, voi vedete infine la notte nera. Dite: Eccola, la notte nera, è qui. Lei dice: Vieni. Voi tornate a lei”.[8]
Lacan non ci lascia stare sul letto del diritto, dove i corpi si stringono anche in un letto, per venirne a sapere ancora sul godimento. Egli ci invita ad andare sul lettino dell’analista per giungere a cogliere, una volta sbarazzati dei diritti e dei doveri, che nel rapporto sessuale il godimento femminile, sia per un uomo che per una donna, non è legato strettamente all’organo sessuale, come nel caso del godimento maschile, fallico. Si tratta piuttosto di venire a dire di un sapere reale di un godimento che ha un carattere illimitato. Le donne stesse lo provano ma non sanno dirlo, né nominarlo.
“Dentro di lei piangete ancora. Lei dice: Non piangere. Lei dice: Prendetemi perché ciò sia fatto. Voi lo fate, prendete. È fatto. Lei si riaddormenta”.[9]
Il percorso che conduce all’assunzione di una posizione femminile non è semplice poiché ciascuno, una donna, una per una, ha da trovare il suo modo, la sua via per accedervi. Ma come ricordavo all’inizio, grazie a Freud, i poeti ci mettono su questa strada.
“Un giorno lei non c’è più. Voi vi svegliate e lei non c’è. Se n’è andata nella notte […] La differenza fra lei e voi è confermata dalla sua improvvisa assenza”.[10]
Non so se sarei riuscito ad affrontare questa strada senza passare, anche, per le trame di questo testo segreto di Marguerite Duras, che inizia così:
“L’uomo sarebbe seduto nell’ombra del corridoio di fronte alla porta aperta all’esterno[…] La donna ha camminato sul crinale del pendio davanti al fiume, e poi è ritornata là dov’è ora distesa nel sole di fronte al corridoio. E lei non può vedere l’uomo”.[11]
Poi, man mano che si incarnavano sul mio corpo i segni dell’analisi, sono giunto a leggere, e non più solo ad ascoltare, che:
“Quando avete pianto, era su voi solo e non sulla mirabile impossibilità di raggiungerla attraverso la differenza che vi separa […] Avete potuto vivere questo amore nel solo modo possibile per voi, perdendolo prima che si realizzasse”.[12]