Se l’Uno è
(Marianna Matteoni, partecipante alle attività della SLP)
«si legge Ancora per la sua erotica dimenticando
l’henologia che ne è il fondamento» [1]
Fin dal 1964 il filosofo Emanuele Severino rintraccia nel nichilismo il pensiero filosofico fondamentale dell’Occidente, un nichilismo alla cui radice c’è un salto impossibile per il logos, l’effrazione della frontiera che separa due dimensioni inconciliabili, la convinzione erronea che dal non essere sgorghi l’essere e che l’essere divenga non essere, nulla.
L’inganno passa per la via dei sensi: attraverso la percezione del divenire si perviene alla certezza che l’essere passi al non essere e viceversa, in una circolazione continua dall’uno all’altro stato senza soluzione di continuità. Ma questo movimento, l’uscire e il ritornare dal nulla, è solo un sembiante d’essere che non ha alcuna sostanza. Il logos sa che questo passaggio è impossibile: ciò che è essere non sarà mai non essere. In quanto al nulla, non lo si può percepire con i sensi, né concepire con l’intelletto… perché non esiste.
Per porre fine all’errore, Severino invita a ritornare alla lezione di Parmenide di Elea e alla radicale distinzione fra l’essere è e il non essere non è, alla discriminazione fondamentale fra ciò che esiste da un lato, e di cui si può dire, e ciò che non esiste dall’altro, di cui, ovviamente, non si può dire [2].
Durante l’insegnamento, affrontando le questioni dell’essere, dell’esistenza, del sembiante e del reale, a più riprese Jacques Lacan suggerisce agli analisti di leggere il famoso ed enigmatico dialogo di Platone, Parmenide. Perché?
Se Parmenide-filosofo impernia la sua riflessione sullʼopposizione essere/nulla, esistere/non esistere, nel Parmenide-dialogo Platone è alle prese con la teoria delle idee, in particolare con la spinosa questione della “partecipazione”: quali legami intercorrono fra le idee? Come si articola il rapporto tra mondo delle idee e mondo sensibile? Quanto delle idee si riflette nel mondo sensibile? Parafrasando Lacan, potremmo anche chiederci come il significante entri nel reale [3]. L’indagine si concentra su un’idea in particolare, l’Uno.
Noi non seguiremo il dipanarsi del ragionamento, che si arena su un’aporia piuttosto che giungere a una conclusione veritiera. Su consiglio di Lacan ci fermeremo alla prima ipotesi formulata nel Parmenide, “se l’Uno è”, e sull’ambiguità dell’uso del verbo essere nel corso del dialogo, che oscilla alternativamente fra essere ed esistenza [4]. Separando il verbo essere come copula dal verbo essere in quanto esistere, si fa una scelta di registro. Servirsi del verbo essere come copula obbligherebbe all’aggiunta di un aggettivo o di un sostantivo per definire il soggetto: l’Uno è… immobile, l’Uno è… indivisibile…, con la conseguenza che l’Uno entrerebbe nel rimando continuo del significante, nell’equivoco e nel sembiante.
Invece, il Parmenide svela cosa resta quando non c’è Altro dell’Altro: l’Uno esiste e l’esistenza appartiene al reale. Come il circuito della pulsione illustra, partendo dal corpo proprio, essa compie un tragitto attorno all’oggetto per ritornare al corpo; allo stesso modo il parlessere sul lato maschile preleva dall’Altro l’oggetto a e di questo si fa partner, non dell’Altro. Il parlessere sul lato femminile mira anche a qualcosa in più, ovvero S(A/), il punto in cui l’Altro manca. Lacan ha scritto le formule della sessuazione ma non la formula dellʼarmonia fra i sessi, perché nel reale quella formula non si scrive: ci sono due sessi differenti che corrispondono a due godimenti differenti, entrambi autoerotici e non complementari. Ognuno resta Uno, è il lato reale del sesso.
Così come le idee platoniche non comunicano fra loro, il parlessere in quanto Uno non ha un rapporto con altri Uni; non partecipa del godimento del corpo dell’Altro, anzi, ne è esiliato, destinato a sperimentare solo il godimento del corpo proprio.
Nella disgiunzione fra essere ed esistenza, fra ontologia e ontica, fra sembiante e reale, si svolge l’ultimo insegnamento di Lacan: l’Altro non è garantito e il sapere del simbolico è bucato a proposito del rapporto fra i sessi. Ma l’Uno esiste, anzi, Cèd’luno, il godimento del corpo è reale, autoerotico, separato irrimediabilmente dagli altri Uni.
Tuttavia questa non è l’ultima parola. Avere sollevato il velo sull’Uno non è il pretesto per abbandonarsi al cinismo. L’erotica lacaniana degli anni Settanta si fonda sull’henologia, sulla dottrina dell’Uno, ovvero sulla condizione del parlessere alle prese con la solitudine del godimento. È su questo terreno di separazione radicale che l’amore sfugge alla predestinazione e, quando arriva, è come contingenza, come eventualità che qualcosa possa scriversi per un tempo più o meno lungo. L’amore e il desiderio sono i fili con cui tessere un legame con l’Altro.
Allora, in questo caso, cosa potrebbe succedere ai parlesseri? Rispondo prendendo in prestito le parole di Patrick Monribot all’Antenna di Rimini: «In fondo, fare l’amore insieme è, nel migliore dei casi, far coesistere due godimenti Uni nello stesso posto, nello stesso momento, utilizzando eventualmente il corpo dell’Altro — in maniera reciproca se possibile — ma nient’altro. E già questo non è poi così male…» [5].
[1] J.-A. Miller, A. Di Ciaccia, L’Uno-tutto-solo [2010-2011], Astrolabio, Roma 2018, p. 102.
[2] E. Severino, Ritornare a Parmenide [1964], in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, pp. 19-61.
[3] Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia [1962-1963], Einaudi, Torino 2007, p. 96.
[4] «Occorre ad ogni costo che l’Uno sia e che l’Essere sia Uno. Insomma, a questo punto perdiamo il filo. Perché l’unico modo per non dire fesserie è di separarli rigorosamente», J. Lacan, Il Seminario. Libro XIX. …o peggio, [1971-1972], Einaudi, Torino 2020, p. 24.
[5] P. Monribot, Lezione IV, in Amore domanda amore… encore, a cura di L. Biondi, G. Pazzaglia, Panozzo Editore, Rimini 2018, p. 72.