HOMMELETTRE
Fabio Galimberti (membro SLP/AMP)


Freud ha stabilito la radice perversa di ogni sublimazione, ma non ha attribuito alla sublimazione in sé una finalità perversa. Il caso di André Gide mi sembra invece utile a mostrare come la scrittura possa rientrare in un progetto perverso, di un uomo nel rapporto con una donna. Lacan vi allude quando in Giovinezza di Gide attribuisce uno statuto di feticcio alle lettere che lo scrittore aveva inviato per lunga parte della sua vita alla moglie Madeleine.
Ma è un’altra la qualità perversa della lettera che voglio indicare. Anche perché “le lettere” non sono solo le epistole che il marito scrisse alla moglie – e che lei in un giorno di disperazione bruciò – ma anche le opere letterarie, che hanno sempre avuto per lui, fino a un drammatico punto di svolta, un unico vero lettore, Madeleine, appunto. È in questa creazione letteraria con un destinatario prescelto, un target anzi, che credo si ritrovi un tratto della perversione dell’homme de lettres André Gide. “Tutta la mia opera tende verso di lei” ammetteva, aggiungendo che scriveva ogni riga con quest’intima motivazione: “per convincerla, per coinvolgerla”[1] (la convaincre, la entraîner). Ma a quale convincimento, a quale coinvolgimento mirava? A cosa voleva avvincerla, dove voleva trainarla?
Da ragazzo sembrava che la sua missione, per come si era fissata, fosse tutt’altra. Un giorno, a tredici anni, era entrato di nascosto nella casa della cugina e, passato di fianco alla camera della zia, fedifraga e seduttrice, era giunto nella stanza di Madeleine. Lei era lì, inginocchiata e in lacrime, ai piedi del letto. “Questo istante decise della mia vita”. Da quel momento si votò ed “ebbro d’amore, di pietà, […] di abnegazione, di virtù […] offrivo tutto me stesso, non vedendo altro scopo nella mia vita che difendere quella fanciulla contro la paura, contro il male, contro la vita”.[2]
Ma questa difesa è diventata un attacco. Dunque, come concepire ciò che si è prodotto in quell’istante decisivo? Lacan lo chiede, Lacan risponde: quel frangente è da concepire come “l’immistione dell’adulto”.[3] Significa che il ragazzo è cresciuto e che si è fatto uomo? È da intendere come l’adulto protettore? No, no, anche se l’equivoco della parola “protettore” ci mette sulla buona strada, o sulla cattiva… quella dell’adulto seduttore. Il giovane André in quell’istante è diventato l’adulto seduttore, quello capace di débaucher, ossia di corrompere la cuginetta (in realtà più grande di due anni), quella fanciulla che per lui era tutta timore e tremore. Benché della sua finalità perversa, veicolata dall’eccipiente della crociata salvifica, se ne sia reso conto solo tardi,  après coupaprès le coup de théâtre dell’incendio delle lettere. Teatro greco ci dice Lacan, indicando nell’atto distruttivo di Madeleine il sacrificio dell’eroina di Euripide: “Povero Giasone partito alla conquista del vello d’oro della felicità, non riconosce Medea!”.[4] L’ha riconosciuta dopo, credo, in quel colpo di coda della lettera che gli fa scegliere per un protagonista de I sotterranei del Vaticano un nome preciso: Amédée Fleurissoire.
Eppure, qualcosa di non demonico c’è stato nella natura del suo sentimento, qualcosa di tragicamente angelico. Perché la sua non è stata una seduzione carnale. Gide ne aveva orrore, la forza spirituale del suo amore inibiva ogni desiderio fisico: “Il tuo corpo mi imbarazza e i possessi carnali mi spaventano”[5] fece dire al suo Walter ego nella prima opera giovanile. E nel loro matrimonio bianco si è attenuto a questa ripulsa, fino a imporre alla moglie quell’inumano disconoscimento dei desideri di maternità di cui ha scritto Jean Delay.[6] Parodiando quello che ci ricorda Freud nel caso Dora, pour faire un homme de lettres il faut casser des œufs. E dalle uova rotte non venne fuori alcun pulcino, semmai un Pulcinella, quello di Nietzsche (sempre Lacan dixit, anzi scripsit)[7] nel momento in cui la loro tragedia sotto la sua penna si è trasformata in farsa.
Niente frutti tra di loro, solo fiori, fleurs du mal, sbocciati da sempre nella sua poetica e profusi a piene mani alla sua sposa. La sua seduzione è stata spirituale, forse più quella che si ritrova dalle parti del Giovanni di Kierkegaard. Ma un Giovanni che ha fatto un giro nel fantasma del Divin marchese. Infatti, troviamo le marche di questo fantasma, che – è ovvio – agisce inconsciamente, in un desiderio che non arrivò mai al suo coronamento: mai la convinse, mai la corruppe. Piuttosto la angosciò, riportandola a quell’affetto penoso da cui voleva salvarla (si veda quanto ricorre il termine “angoscia” nel racconto di quell’istante).[8] Ancora prendendo alla lettera le sue intenzioni e sforzandosi di nascondergli “con cura la pena che aveva potuto provarne”, lei glielo disse più volte: “Se tu avessi potuto sapere il dolore che quelle righe mi avrebbero cagionato, non le avresti scritte”.[9] Madeleine probabilmente ha ragione, ma bisognerebbe mettere in questione quel “tu” nella perversione, su cui Freud si è arrestato in articulo mortis introducendo il fenomeno della Spaltung.
Millot, in proposito, fa un salto che sembra fuori della psicoanalisi e chiama questa scissione fatalità: “Col carattere implacabile del destino, che è di compiersi attraverso il movimento stesso che si fa per sfuggirgli […] la consegnava nuovamente alla sofferenza da cui aveva voluto proteggerla”.[10] Una bella frittata, non c’è che dire. E per sentirne il sapore sadico aiutano le parole speziate dello scrittore, vergate dopo la morte della moglie: “Volevo la sua felicità, è vero; ma non mi preoccupavo se la felicità nella quale volevo trascinarla e costringerla le sarebbe riuscita insopportabile”.[11] Per chiudere il contributo, molto condensato, prima di finire le seimila battute (spazi compresi), ecco un indizio più analitico sul progetto perverso della scrittura gidiana, che Millot chiama destino: tramite la seduzione letteraria, strappare alla vittima un sì all’“intenzione del suo tormentatore”.[12]


[1] A. Gide, “Diario intimo”, in Et nunc manet in te, SE, Milano 1988, p. 58.
[2] A. Gide, La porta stretta, Garzanti, Milano 1999, p. 142.
[3] J. Lacan, Giovinezza di Gide o la lettera e il desiderio, in Scritti, vol. 2, Einaudi, Torino 1974, p. 752.
[4] Ibidem, p. 760.
[5] A. Gide, Les Cahiers de André Walter, citato in J. Delay, La jeunesse d’André Gide, vol. 1, Gallimard, Paris 1956, p. 498.
[6] J. Delay, La jeunesse d’André Gide, vol. 2, Gallimard, Paris 1957, p. 579. Lacan scrive, riprendendolo quasi alla lettera: “disumana privazione”, in Giovinezza…, cit., p. 757.
[7] J. Lacan, Giovinezza…, cit., p. 763.
[8] Non solo ne La porta stretta, ma anche in A. Gide, Se il grano non muore, Garzanti, Milano 1995, p. 120.
[9] A. Gide, Et nunc manet in te, SE, Milano 1988, pp. 14-15.
[10] C. Millot, Gide, Genet, Mishima. L’intelligenza della perversione, Kami, Roma 2003, p. 34.
[11] A. Gide, Et nunc…, cit., p. 17.
[12] J. Lacan, Kant con Sade, in Scritti, vol. 2, cit., p. 788.