Harry Styles o della fluidità nella moda e non solo.
Alfonso Leo (membro SLP/AMP)
Questo scritto è la sintesi del lavoro di cartello svolto anche in rapporto alle tematiche correlate al “IL REALE DEL SESSO”, per il XVIII Convegno nazionale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano. È frutto di lunghe discussioni via Skype iniziate già in epoca pre-pandemia.
In questi ultimi mesi stiamo assistendo ad una accelerazione del fenomeno della “fluidità” che, nata o messa in luce dal sistema moda, sta colonizzando interi comparti della nostra vita sociale, politica e culturale. Gli sconfinamenti tra il maschile e il femminile nella moda sono antichi ma possiamo considerare che abbiano preso una forma “sicura” all’inizio del secolo scorso, con creatori quali Coco Chanel, che introduce elementi del guardaroba maschile in quello femminile come il pantalone, il jersey (che era utilizzato dai pescatori normanni per i loro abiti da lavoro) e il taglio di capelli alla garçonne. Vi saranno molti altri creatori che apporteranno il loro contributo allo scardinamento degli archetipi del maschile e femminile fino ad arrivare ai nostri giorni, dove questa frontiera è stata quasi del tutto abbattuta. Tra i più interessanti creatori dell’ultima generazione c’è Harris Reed (vedi la sua straordinaria sfilata del 18 febbraio 2021 a Londra)[1], che in sole due collezioni è assurto a rappresentante della fluidità nella moda. Questo fenomeno, che attraversa aspetti della nostra vita sociale, politica e culturale, è stato illustrato in modo brillante dalla copertina e dal dossier moda di <
Si potrebbe sottovalutare l’etichetta no gender considerandola come una formula commerciale solo superficialmente legata alla differenza sessuale e al ruolo fondamentale che essa svolge nel processo di soggettivazione, ma sarebbe un errore. Se in questo momento la Moda ha messo al centro della sua pratica non la distinzione dei sessi come è stato per gran parte della sua storia ma, al contrario, la categoria del no gender, sarebbe bene prestarle attenzione, perché la Moda ci “apre” alla verità della contingenza.
L’utilizzo della negazione per definire un nuovo campo in cui situare la differenza sessuale non avviene a sproposito. In quanto artificio definitorio, la negazione delimita un insieme infinitamente più comprensivo di quello dell’affermazione: l’insieme no gender è infatti molto più ampio ed esaustivo dell’insieme binario del gender. La Moda ha preso a considerare il maschile e il femminile come due entità sui generis, né circoscritte e delimitate da confini biologici, né definite da criteri culturali e neppure governate da un meccanismo puramente performativo.
La Moda sembra elaborare il maschile e il femminile come due “grandezze negative” secondo l’originale concezione di Kant, cioè come l’opposizione “reale” di due forze autonome ma capaci di impastarsi tra loro in grado diverso e di influenzarsi secondo un criterio di reciproca “privazione”. Sono qualcosa di simile a due qualità di una sola e medesima pulsione – quella sessuale – capaci di mescolarsi in ogni proporzione e di investire qualunque tipo di rappresentazione si presti ad essere erotizzata. I termini maschile e femminile, quelli LGBTQ e i prossimi che si affermeranno sono termini funtivi di erotizzazione. È questo il processo che ne permette la combinazione e ne fissa la funzione.
Non a caso negli ultimi anni, fra eccessi e malintesi, si è andato affermando in relazione all’orientamento sessuale il concetto di “fluidità”.
La fluidità è qualcosa di molto diverso da un ampliamento della distinzione tra “sesso” e “genere” come rappresentanti di una fissità, fondata ora sulla natura organica del corpo, ora su una misteriosa variabilità ineffabile fatta di identità e di appartenenze. La pulsione si lascia smontare solo fino ad un certo punto ma non perde mai il suo peso reale. Il campo potenziale della fluidità è sterminato e nessun insieme di categorie può ambire ad imprigionarlo. Le identità simboliche non lo definiscono e ancora meno sono in grado di configurarne le possibilità. Le grandezze negative che lo alimentano e che ne amplificano e moltiplicano le manifestazioni usano tutto ciò che trovano a loro disposizione per costruire soluzioni individuali, sempre inaspettate. Solo ad un esame superficiale queste tendenze sembrano somigliarsi.
Quando la Moda propone il no gender, sta di fatto svolgendo una funzione etica, ma solo in senso extra-morale: non è un’istanza di liberazione della sessualità da catene inesistenti, sta solo fornendo alla sessualità il materiale contingente per incarnare la sua forma storica.
Nelle sue dichiarazioni circa la “fluidità” Harry Styles sottolinea che per lui si tratta di assenza di linee di demarcazione, etichette, modelli, confini (questi i significanti utilizzati), dunque «Qualunque modo tu scelga per definirti rende la tua identità sessuale reale»[3]. Queste parole mettono in luce come, parlando di identità sessuale, si possa usare il termine “sembiante” dato che «gli elementi in gioco nella sessualità combinano il simbolico e l’immaginario, le identificazioni e l’immagine»[4]. Cade allora la separazione tra il lato destro ed il lato sinistro delle “Tavole della sessuazione” e si apre la possibilità di scivolare da una parte all’altra senza tenere una posizione?
Come parlare della differenza sessuale senza delirare o fantasticare?[5]
L’appartenenza al gruppo degli uomini necessita di un modello, il padre, quell’almeno uno non castrato, l’eccezione che conferma l’esistenza del gruppo. Dal lato femminile si vede che non c’è un’essenza della femminilità, una definizione, non esiste l’insieme delle donne che sono non tutte definite da un solo significante ed hanno sempre un altrove.
Il riconoscersi come appartenente a uno o l’altro dei due quadranti definisce anche la modalità di godimento sessuale: sul versante maschile l’”avere” il fallo comporta la responsabilità di sostenere il rapporto con la donna, di trovare la propria “ora della verità”; la messa alla prova dell’essere un vero uomo sarà il dimostrarsi capace di fare rapporto e non di godere per conto proprio. Sul versante femminile invece c’è un “non tutta identificabile dal godimento fallico”, un godimento illimitato (poiché non soggetto alla detumescenza) che passi però per l’accondiscendere, attraverso la mascherata, a farsi oggetto del godimento dell’uomo; quanto all’impossibilità di fare rapporto sessuale la donna supplisce con l’amore e l’uomo con il fantasma[6].
Il concetto di fluidità scardina questo sistema, la possibilità di passare da un lato all’altro, in un avanti e indietro continuo, comporta forse la mancata accettazione della castrazione sempre implicata nel sostenere una delle due posizioni. Il rifiuto della castrazione lo vediamo sia nella posizione nevrotica (l’isterica che non abbandona l’idea di avere il fallo e l’ossessivo che non può sceglierne una e rinunciare a tutte le altre) che in quella perversa (la non accettazione del limite e della non castrazione materna).
La questione può essere inscritta tra le conseguenze del crollo del Nome del Padre.
Se queste nuove identificazioni rappresentano per alcuni soggetti nuove e valide soluzioni, per altri, la proliferazione indiscriminata degli oggetti di godimento nell’ambito della sessualità potrebbe rispondere e riflettere l’imperativo al godimento assoluto del discorso capitalista, rappresentando non tanto, una soluzione, quanto l’emersione di un sintomo o una mera identificazione con la categoria che nulla ha a che fare con la scelta del soggetto o con un annodamento tra godimento e amore. Il compito della psicoanalisi e degli psicoanalisti rimane quello di rispondere all’unicità del soggetto, nelle mura del proprio studio, e non solo, valutando gli annodamenti propri di quel caso particolare.
Il Cartello Psicoanalisi e moda: l’abito che fa il monaco è composto da Vittorio Cucchiara, Alice Pari, Alfonso Leo, Marika Soricone e Giuseppe Monaco.