Del sesso, del senso e del sembiante
Matteo Bonazzi (membro SLP/ AMP)
posso avere la stessa soddisfazione esattamente
come se stessi scopando […] Ciò […] pone,
d’altronde, la questione di sapere se
effettivamente scopo[1].
Scopare non ha mai luogo come tale, ma sempre
altrimenti (il suo presunto “come tale” è la
pornografia, che è la figura – la sola –
dell’impossibile come impasse)[2].
Come ricordava Jacques-Alain Miller, ormai alcuni anni fa: dall’epoca della Regina “Vittoria al porno, siamo passati non solo dall’interdizione alla permissione, ma all’incitazione, all’intrusione, alla provocazione, alla forzatura. Che cos’è il porno se non un fantasma filmato con una varietà atta a soddisfare gli appetiti perversi nella loro diversità? Non c’è niente che mostri meglio l’assenza del rapporto sessuale nel reale di questa profusione immaginaria di corpi che si dedicano a darsi e a prendersi”[3].
Il porno toglie il velo al sessuale rivelandone la realtà nuda e cruda. Così pensano “coloro che avendo una maschera a nolo si persuadono di aver sotto un volto”[4]. La realtà nuda e cruda che il porno ostenta è una mascherata che da questo punto di vista difende dalla constatazione invece che rapporto non c’è. Più che disvelare, il porno ri-vela: vela nuovamente il non rapporto attraverso un immaginario che si presenta retoricamente come reale. Eppure, spesso è così che entra nella percezione adolescenziale. Come uno squarcio del velo del pudore che ci permetterebbe di accedere al reale del sesso senza inibizioni.
Di fronte a questa trasformazione in atto, gli adulti rispondono, come spesso succede, facendo affidamento alla loro pedagogia da bambinaie[5], opponendo all’apparente reale del sesso, la verità del senso. Anche in questo caso, il senso viene a ri-velare il non rapporto, a coprire ciò che non si vuole sapere: che i due non fanno uno, che il rapporto sessuale è “perverso da un lato, in quanto l’Altro si riduce all’oggetto a, e dall’altro, direi, folle, enigmatico”[6].
La psicoanalisi, potrei allora provare a dire, opera fuori da questa dialettica: non è nella posizione paternalistica di offrire senso laddove si vede solo sesso online, né di ostentare il reale apparentemente crudo del sesso per provocare la tenuta immaginaria del senso. La psicoanalisi, con Lacan, ritiene che la sessualità non sia questione né di sesso, né di senso, ma di sembiante. Precisamente, di “disgiunzione” tra godimento e sembiante. “Rispetto al godimento sessuale, la donna è nella posizione di evidenziare l’equivalenza fra il godimento e il sembiante […] Per contro, nessun altro sa meglio della donna, ed è in questo che è lei l’Altro, che cosa, del godimento e del sembiante, è disgiuntivo, perché ella è la presenza di quel qualcosa che sa, e cioè che, se godimento e sembiante si equivalgono in una dimensione del discorso, sono tuttavia ben distinti nella prova che la donna rappresenta per l’uomo, prova della verità semplicemente, l’unica che possa dare il suo posto al sembiante in quanto tale”[7].
Se il senso che il simbolico articola è insufficiente e l’immaginario precipita nella pornificazione[8] dell’esperienza, di cui oggi il consumo di pornografia è soltanto un esempio forse paradigmatico del consumo in generale, allora a noi non resta che “immaginarizzare”[9] il Reale, tenendo conto che “l’orientamento del reale, [però], forclude il senso”[10]. È proprio qui, sul punto di questa disgiunzione, che “sta la béance tra l’Immaginario e il Reale, e ciò che vi è tra loro è l’inibizione […] precisamente a immaginare”[11].
Immaginarizzare il reale significa, allora, affrontare la vera inibizione, quella che proviamo non di fronte alla nuda vita, che è nuda solo quando la immaginiamo, ma al non rapporto che sovverte l’intero vivente che noi siamo. Qui il sembiante ci viene in soccorso: tra noi e l’adolescente (che, in fondo, resta sempre in noi come non realizzato), risuona una comune inibizione di fronte a ciò che sfugge alla simbolizzazione, di epoca in epoca, e che così si sottrae alla presa del discorso culturale. Nel punto di caduta delle rappresentazioni simboliche, l’inibizione apre uno spazio inedito in cui la singolarità di ciascuno ha da disegnare il proprio modo di contornare “l’oggetto eternamente mancante”[12]. A questo “freno interiore”[13] possiamo forse affidarci, nel tentativo di costruire nuove forme di legame.
https://wapol.org/it/articulos/Template.asp?intTipoPagina=4&intPublicacion=13&intEdicion=9&intIdiomaPublicacion=7&intArticulo=2742&intIdiomaArticulo=7.