Il non-tutto nel capitalismo contemporaneo: l’odio del femminile e i suoi effetti di devastazione
Federica Facchin
“C’è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne
con il rispetto di cui si circondano le madri”
Simone de Beauvoir, Il secondo sesso (1961, ed. or. 1949)
Una giovane neomamma piange di dolore: il suo seno è martoriato dalle ragadi prodottesi durante l’allattamento, e l’ostetrica a cui si è rivolta per avere consiglio le ha detto di resistere, perché allattare è fondamentale per la relazione madre-bambino. No a dispositivi artificiali da apporre sul capezzolo per attenuare il dolore; si tratta “solo” di stringere i denti per qualche settimana (ma quante?), nell’attesa dell’ispessimento del tessuto, dopodiché sarà pura estasi per madre e neonato. Come si può anche solo pensare di privarsi di questo godimento per una tetta che sanguina? Come si può concepire che il godimento sia in perdita?
Su questo imperativo superegoico si fonda la versione del materno venerata nel capitalismo contemporaneo, con effetti devastanti sulle madri una per una, fino a quelle forme della sofferenza che decenni fa erano classificate come “esaurimento nervoso”. Così questa neomamma si stupisce, perché nella cura attraverso la parola – che viene al posto degli integratori alimentari proposti dall’ostetrica – può articolare un discorso in cui la stanchezza, il dolore e l’ambivalenza dei sentimenti trovano spazio. Può dire finalmente che la maternità è (anche, ma di certo non solo) una grandissima fatica. E può interrogarsi sul suo modo singolare di essere madre, senza sentirsi chiamata a fare fuori la donna che è stata, che è, e che diventerà.
E poi la storia di un terribile stupro, perpetrato nel contesto della city milionaria e cocainomane, e dato in pasto a quei programmi televisivi condotti “col cuore” e in nome della giustizia in prima serata. Una notte senza stelle, ulteriormente rabbuiata dalle parole orrende degli utenti (e delle utenti) sui social network: “se l’è cercata”. Più recentemente, e da parte di un personaggio pubblico (a proposito di un’altra vicenda, con indagini ancora in corso): “era consenziente”. Non mancano video e messaggi tra amici nei quali si intende che il gruppetto di presunti stupratori il giorno dopo nemmeno si ricordava il nome della ragazza.
Alcuni libri portano luce. Si tratta in particolare degli ultimi lavori di Marie-Hélène Brousse [1] e di Clotilde Leguil [2]. La prima sottolinea quanto il femminile sia una modalità di godimento non determinata dalla biologia e avente a che fare con il vuoto nella sua positività, un vuoto che c’è proprio come un buco nero (ed è precisamente questo il modo in cui l’autrice riscrive il dark continent di Freud). La seconda, occupandosi di consenso (tema decisamente contemporaneo), ricorda l’importanza del confine etico che distingue il cedere, nel suo rapporto con la pulsione e con la sua forza, dall’acconsentire, che si articola invece con il desiderio nella sua opacità.
Queste sono state le coordinate del mio lavoro in questo cartello “da Nord a Sud”, purtroppo destinato a passare in un lampo. Quello che si è prodotto però resta… e porta nuovi inizi.
[1] Brousse M.-H. (2020), Mode de jouir au fèminin, Navarin, Paris.
[2] Leguil C. (2021), Céder n’est pas consenter: une approche clinique e politique du consentement, Puf, Paris.